Dalla seconda Rivoluzione Quantistica all’evoluzione della robotica: DIGITALmeet arriva a Unipd

23 Ottobre 2024
WhatsApp-Image-2024-10-23-at-15.31.49-1200x900.jpeg

Temi affascinanti quelli proposti da DIGITALmeet all’Università di Padova mercoledì 23 ottobre: dalla “seconda rivoluzione quantistica” spiegata dal fisico Paolo Villoresi alle evoluzioni della robotica con il professor Angelo Cangelosi docente di “Machine Learning and Robotics” presso l’Università di Manchester.
Villoresi ha detto che “al calcolatore è impossibile attribuire pensiero. La macchina non supererà mai l’essere vivente perché un qualsiasi algoritmo funziona sempre con input e output”. Se si conosce quanto viene immesso in una macchina, più o meno intelligente, si avranno dei risultati conseguenti. Il fisico padovano ha spiegato come la prima rivoluzione quantistica è avvenuta fra il 1900 e il 1927, quando si è tenuta la Conferenza di Solvay, dove si può dire che sia nata davvero questa disciplina, mentre la seconda rivoluzione, dopo le obiezioni degli anni trenta di Einstein, soprattutto alla meccanica quantistica, si è dovuto attendere gli anni novanta quando fu verificato il fenomeno, definito, “dell’entanglement” secondo cui ciò che accade a una particella determina ciò che accade all’altra, anche se sono molto distanti. E da questa scoperta inizia la seconda rivoluzione quantistica. Secondo Villoresi ora andremo verso “l’unificazione dei concetti di realtà e di informazione”.
Quanto alla tecnologia e alle applicazioni concrete, Villoresi ha anche ricordato che il Veneto già dispone di una rete quantistica avanzata; è la VEN-QCI, l’infrastruttura che attraversa la regione ed è dedicata alla cyber security. Rete promossa dall’Università di Padova, dalla Regione Veneto e dalla Cav (Concessioni autostradali). “L’informazione quantistica – ha spiegato Villoresi –  guarda agli obiettivi della teoria dell’informazione con strumenti che superano i limiti del bit alla base dei computer tradizionali, dando vita a macchine potenzialmente in grado di risolvere problemi complessi molto velocemente, problemi che i computer odierni non sono in grado di affrontare se non impiegando tempi lunghissimi.” L’anno prossimo, il 2025, sarà l’anno internazionale della tecnologia quantistica, ma nel frattempo “dobbiamo rinunciare al fatto che la realtà è preesistente alla nostra osservazione.”

Molto interessante anche la lezione del professor Cangelosi, psicologo e informatico. I suoi interessi di ricerca riguardano la robotica dello sviluppo, l’apprendimento del linguaggio, l’interazione e la fiducia uomo-robot, soprattutto per le applicazioni nell’assistenza sanitaria. “Il vero problema – ha spiegato Cangelosi – non è costruire degli androidi, ma robot in grado di interagire con l’uomo. Nelle aziende i settori robotizzati sono confinati perché potrebbero essere un pericolo in caso di malfunzionamento.” “Alcuni ricercatori – aggiunge – credono che sia importante lo sviluppo di androidi, ma io penso che il robot debba, sempre, essere distinguibile dall’essere umano. Io devo sapere che sto interagendo con una macchina. E’ per questo che parliamo di trasparenza.” “Sono persuaso – sottolinea Cangelosi – che è impossibile costruire robot che sostituiscano la persona. Tra l’altro, se anche fosse possibile, a che scopo farli?” Una considerazione finale: “il motivo per il quale si tenta di avere robot con forme umane, con gli occhi, ad esempio, è perché tendiamo a uno scambio fiduciario – guardarsi negli occhi fa parte della comunicazione – ma non è sempre necessario. Resta fermo, però, che il rapporto fiduciario, anche con un robot, è fondamentale, altrimenti non lo si usa.”
Infine, non va sottovalutata la “uncanny valley” (“valle inquietante”) ovvero la reazione a androidi “troppo umani”. In Giappone, ad esempio, lo studioso di robotica Masahiro Mori scoprì che la sensazione di familiarità e piacevolezza sperimentata da un campione di persone che aveva avuto a che fare con robot e automi antropomorfi, ad un certo punto crollava precipitosamente. La fiducia cresceva al crescere della somiglianza con l’essere umano fino a un punto in cui le reazioni emotive viravano bruscamente in campo negativo. La causa, secondo lo studio, era nella presa improvvisa della consapevolezza della non aderenza alla realtà degli umanoidi che destava sensazioni di repulsione e forte inquietudine. Dunque sì ai robot, no agli androidi.