Ghezzi-1200x628.png

2 Agosto 2019

Paolo Ghezzi, toscano, 57 anni, è Direttore Generale di InfoCamere dal 2014. Laureato a Pisa in Scienze dell’Informazione, ha svolto la sua carriera prima in Cerved e successivamente all’interno della Società di informatica delle Camere di commercio iniziando come esperto di TLC e networking fino a ricoprire l’incarico attuale. E’ membro del Consiglio di Assinform, l’Associazione nazionale delle principali Aziende di Information Technology operanti in Italia.

Dal punto di vista professionale, qual è stato l’impatto del digitale nella tua vita? Il digitale ti permette di fare cose che prima non potevi fare, o che prima non potevi fare con la stessa efficienza e la stessa velocità? Se sì, quali? 

Nel mio caso sarebbe fin troppo facile rispondere che l’impatto del digitale è stato ed è pervasivo; ed infatti è proprio così. Dalla gestione degli impegni di lavoro, alla selezione delle informazioni, fino alla formalizzazione e condivisione delle decisioni e delle scelte, tutto scorre sui bit passando dai computer aziendali per arrivare direttamente  al mio smartphone o tablet. Il digitale abbatte i limiti del tempo e dello spazio e, sia nella vita lavorativa che nella vita privata finiamo ormai per utilizzare gli stessi strumenti e lo stesso approccio migliorando la gestione del tempo. La maggior parte delle attività in azienda che prevedevano una gestione manuale e ripetitiva sono state automatizzate e riesco a gestirle con semplici meccanismi di notifica; ma anche come cittadino i rapporti con la pubblica amministrazione come la scuola dei miei figli, le mie vacanza, la salute, stanno sempre più aprendosi al digitale. Per lavoro viaggio molto e ora basta uno smartphone per la gestione dei viaggi, prenotazioni, biglietti e checkin. Laddove il contesto me lo permette, che sia il lavoro o la vita privata, vivo la mia identità  in modo digitale nei casi in cui può creare efficienza e farmi guadagnare tempo. Il digitale è il presente ed il futuro, e il futuro bisogna imparare a usarlo il prima possibile per poterlo vivere positivamente, cogliendone le opportunità in modo consapevole.

 

Quest’anno DIGITALmeet ha scelto un logo verde per sottolineare il legame con la sostenibilità ambientale. In che modo il digitale può difendere l’ambiente? Quali progressi ci sono sotto questo aspetto? 

Il paradigma digitale è alla base dell’innovazione e oggi non esiste innovazione al di fuori di una prospettiva ecologicamente sostenibile. Le potenzialità che le tecnologie digitali offrono alla ricerca e all’implementazione di soluzioni in grado di arrestare il degrado del pianeta – e di concepire attività economiche capaci di svilupparsi migliorando, anziché peggiorando, il contesto ambientale – sono l’asset su cui costruire un futuro di opportunità per i nostri figli.  In InfoCamere abbiamo adottato un piano per la sostenibilità per il biennio 2018/2019, modulato sui i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite..

 

Il digitale è sempre più presente nella nostra vita quotidiana. Quanto è diffusa questa consapevolezza? E quanto può incidere sulle nostre azioni?  

Ciascuno di noi, volente o nolente, vive ormai in un’esperienza digitale che non ha soluzione di continuità. Il punto è decidere se esserne attivamente consapevoli o subirla passivamente. La trasformazione digitale delle imprese e i diritti legati alla cittadinanza digitale esprimeranno il loro potenziale solo quando la cultura del digitale diventerà un patrimonio comune e ampiamente diffuso. Attualmente, nonostante nel paese ci siano situazioni di assoluta eccellenza, gli italiani vivono un rapporto non sempre facile con il digitale e questo spiega bene il posizionamento del nostro Paese nelle classifiche sulla digitalizzazione della società come quella proposta, dal DESI (il Digital Economy and Society Index dell’UE). Anche quest’anno, come nelle quattro precedenti rilevazioni, restiamo “saldamente” ancorati alla 24ma posizione su 28 paesi.

Per quanto riguarda il cittadino imprenditore, e in Italia ci sono 10 milioni di persone che a vario titolo rientrano in questa categoria, le Camere di Commercio hanno messo a disposizione impresa.italia.it, il “cassetto digitale dell’imprenditore”, uno strumento gratuito che permette di tenere sotto controllo la propria impresa direttamente dallo smartphone o dal tablet. InfoCamere lo ha realizzato in modo che l’informazione ufficiale dell’impresa sia disponibile in modo facile, sicuro e veloce. Ciò nonostante il livello di adesione al servizio è poco più del 6% su un totale di circa 6 milioni di imprese. Uno degli ostacoli alla diffusione del servizio è proprio legato ad una mancanza di competenze digitali di base di molti dei nostri imprenditori che sono sprovvisti ad esempio di una identità digitale come SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale.

In questi anni la Pubblica Amministrazione italiana ha fatto molto per invertire la rotta ma, in uno scenario in cui tutti gli altri Paesi continuano ad investire e ad avanzare sulla via del digitale, il divario che ci penalizza resta ancora grande. Per recuperarlo non basta correre di più, servono passaggi “disruptive”, come usa dire oggi.  Sia in termini di strumenti sia, in modo particolare, su cultura ed abitudine al digitale. Le opportunità ci sono e vanno colte con coraggio e consapevolezza.


Gubitta-1200x628.png

2 Agosto 2019

Paolo Gubitta, 50 anni, è professore ordinario di Organizzazione aziendale e Imprenditorialità, vice-direttore del Dipartimento di Scienze Economiche e
Aziendali e presidente della laurea in Economia all’Università di Padova, dove è anche direttore scientifico dell’Osservatorio Professioni Digitali. Dirige il Center for Entrepreneurship and Family Business (CEFab) di CUOA Business School, è responsabile dell’Osservatorio Capitale umano, Organizzazione e Lavoro di Fondazione Nord Est e dell’Osservatorio Regionale Veneto sulle Imprese Familiari del Terziario promosso da CFMT in collaborazione con l’Università di Padova. Dal 2006 al 2015 è stato adjunct professor al College of Business della University of Michigan Dearborn (USA) e visiting professor in varie università: Tel Aviv University (2014), alla University of Lugano (2013-2014), Guangzhou University (2012), Liaoning University (2011).
Studia l’imprenditorialità e il family business, le nuove imprese innovative, i KIBS, i lavori ibridi.

Dal punto di vista professionale, qual è stato l’impatto del digitale nella tua vita? Il digitale ti permette di fare cose che prima non potevi fare, o che prima non potevi fare con la stessa efficienza e la stessa velocità? Se sì, quali? 

Nell’attività didattica e di ricerca, la digitalizzazione ha semplificato molte attività del mio lavoro. Lavoro a distanza con partner scientifici che si trovano in altre parti del mondo, rimanendo nel mio studio. Accedo alle biblioteche della mia Università e di altre istituzioni, attraverso la rete. Leggo giornali e consulto libri, capitoli di libri o articoli con soluzioni pay per use o pay per view a prezzi decisamente accessibili e per il tempo che mi serve. Dialogo con laureandi e laureande attraverso conference su Skype, su Whatsapp o su altri media aumentando la frequenza dei contatti e l’efficacia degli stessi. Controllo chi fa cheating (copiare) attraverso servizi on line per l’antiplagio. Interagisco con chi frequenta i miei corsi, utilizzando piattaforme di facile uso. Queste modalità non sono alternative all’interazione face-to-face, ma offrono un’opzione, che ciascuno valuta se, quando e con quale frequenza utilizzare, in relazione alle esigenze specifiche.

Quest’anno DIGITALmeet ha scelto un logo verde per sottolineare il legame con la sostenibilità ambientale. In che modo il digitale può difendere l’ambiente? Quali progressi ci sono sotto questo aspetto? 

Sharing Economy e On-demand Economy sono due modalità di produzione e consumo in cui si manifesta la sustainable face della trasformazione digitale.

Pensiamo ai sistemi di bike sharing a flusso libero: l’app che ti dice dove sono le biciclette disponibili, i sistemi di pagamento smart e pay per use, e la possibilità di lasciare la bici là dove ti fermi e non in stalli fissi aumenta la probabilità di accesso al servizio, che riduce l’uso di automobili private o mezzi pubblici (ancora troppo spesso con motore a scoppio). La stessa cosa vale con i servizi di car pooling, che ottimizzano il carico delle vetture e, quindi, riducono il numero di auto in circolazione.

I sensori che rilevano in un certo ambiente sono entrate tante o poche persone in una giornata o misurano la qualità dell’aria che si respira (sistemi IoT, Internet of Things) possono dire a chi si occupa delle attività di facility management quando è il momento di intervenire per fare le pulizie o sanificare gli ambienti, attivando i loro servizi on demand. Gli stessi sensori applicati a una macchina industriale e collegati a sistemi di analisi di Big Data possono chiamare on demand la squadra addetta alla manutenzione preventiva della macchina stessa.

Il digitale è sempre più presente nella nostra vita quotidiana. Quanto è diffusa questa consapevolezza? E quanto può incidere sulle nostre azioni? 

Il digitale oggi è come la sabbia alla fine dell’estate passata al mare: te la ritrovi per mesi nelle tasche di tutti i vestiti e, anche quando pensi di averla completamente rimossa, ecco apparire un granello nelle scarpe o dentro l’armadio.

L’ibridazione digitale è sempre più pervasiva: dalle persone anziane che recuperano la vita sociale non solo andando all’Auser, alla bocciofila o in parrocchia, ma anche usando gli strumenti di comunicazione digitale (da WhatsApp a Skype, per dire dei più comuni); passando per operai, idraulici, elettricisti, meccanici, che fanno interventi alternando chiavi inglesi, cacciaviti, tablet e sistemi di realtà aumentata; per arrivare ad avvocati, commercialisti notai e che si avviano a usare sistemi di intelligenza artificiale per impostare le loro attività e le soluzioni della blockchain per proteggerle; per arrivare ai medici che fanno interventi chirurgici lavorando un po’ con il bisturi e un po’ con joystick e tastiere.

Della diffusione del digitale nella vita quotidiana se ne sono accorti più o meno tutti. Tranne, forse, alcuni policy makers che non hanno ancora avuto il coraggio di far accadere una sorta di tempesta Vaia digitale su cittadini e cittadine italiane.


Il-digitale-visto-da-Laura-Aglio-1200x628.png

1 Agosto 2019

Abbiamo chiesto ai membri del Comitato Scientifico di DIGITALmeet di rispondere a 3 domande sul digitale! La prima a rispondere è Laura Aglio!

Laura Aglio, 33 anni, consulente aziendale, mi occupo di implementare processi di innovazione nella PA e nelle imprese, con un focus sulla progettazione a valere su fondi europei.
Sono attualmente Account manager territoriale dell’Agenzia per l’Italia Digitale e Digital mentor del progetto PIDVeRo40 – Punto impresa digitale della Camera di Commercio Venezia Rovigo e Università Cà Foscari, per portare la trasformazione digitale mediante un percorso di accompagnamento alle imprese delle due province.
Sono formatrice e digital strategist di prog
etti a respiro nazionale e territoriale. Dal 2015 sono entrata a far parte del Comitato scientifico di DigitalMeet con il personale compito di portare il digitale alle donne e le donne al digitale, perché far incontrare questi due mondi è una necessità per far emergere il ruolo della donna nel mondo del lavoro garantendo una maggiore parità di genere nelle nuove professioni.

 

1) Dal punto di vista professionale, qual è stato l’impatto del digitale nella tua vita? Il digitale ti permette di fare cose che prima non potevi fare, o che prima non potevi fare con la stessa efficienza e la stessa velocità? Se sì, quali? 

Non sono una nativa digitale, ma ho vissuto proprio nella fase della mia adolescenza l’inizio della trasformazione digitale nelle nostre vite. Dal punto di vista professionale ho avuto il medesimo impatto: nei primi anni di lavoro gli strumenti social ma soprattutto quelli di community management non erano presenti e ne ho seguito e accompagnato l’avvento nel mio lavoro vivendo l’esperienza in modo diretto, pur nella velocità dei processi, con la lentezza di apprendimento che rimane necessaria per capirne utilità e aspetti positivi senza diventarne dipendenti. Oggi non potrei fare a meno di lavorare in Gdrive, o di usare whatsapp soprattutto per lavoro, ma lo stesso vale per strumenti come slack e trello che mi consentono di collaborare con altri ai vari progetti in modo semplice, veloce ed efficace.

 

2) Quest’anno DIGITALmeet ha scelto un logo verde per sottolineare il legame con la sostenibilità ambientale. In che modo il digitale può difendere l’ambiente? Quali progressi ci sono sotto questo aspetto? 

Da consulente “in moto perpetuo” che viaggia molto per lavoro – oltre che per passione – penso che il digitale abbia un ruolo estremamente importante nel ridurre gli spostamenti e l’inquinamento generato per garantire una maggiore attenzione all’ambiente. Mi riferisco alla diffusione dello smart working e alla possibilità di svolgere molte delle nostre attività quotidiane da casa o da luoghi (vicini a casa) deputati al co-working. Questo vale per la PA ma anche per le imprese, senza togliere l’importanza di incontrare le persone e i colleghi, ma anche di contaminarsi con altri (ad es negli spazi di lavoro condiviso) per elaborare idee o trovare assieme nuove soluzioni.

 

3) Il digitale è sempre più presente nella nostra vita quotidiana. Quanto è diffusa questa consapevolezza? E quanto può incidere sulle nostre azioni?  

Chi come me si occupa di servizi pubblici digitali sa che questa consapevolezza non è per nulla diffusa. Il rapporto con la PA, ad esempio, è sempre preso di mira per malfunzionamento, per mancanze e per cattiva gestione dei processi, ma questo è spesso oggetto di critiche non sempre fondate. Oggi esistono tutte le tecnologie e le piattaforme per poter dire che l’uso di uno smartphone per accedere a tali servizi è realtà. Forse la comunicazione non arriva al target, forse siamo spesso “sordi” nei confronti di una trasformazione che sta fornendo molti, a volte troppi, stimoli per cambiare e innovarsi. Questo vale anche per le imprese e la consapevolezza è spesso minata dalla diffidenza e dalla paura che accedere a un pagamento elettronico possa non essere sicuro, ma non perché non esistano gli strumenti per garantire buoni livelli di cybersecurity nel fornire i servizi stessi. Posso dire che la nostra vita è già cambiata e le nostre azioni digitali sono forse sottovalutate, visto che già siamo parte di questo processo di trasformazione ogni volta che paghiamo il bollo dell’auto online o accediamo ai documenti della nostra azienda gratuitamente nel cassetto digitale (impresa.italia.it), per non parlare delle app per accedere ai personali dati sanitari.